Scoperti in quanto citati in alcune classifiche di fine 2024, i Maruja sono stati una vera scoperta. Rimasto ipnotizzato dall’ultimo EP ho recuperato anche il precedente e messi insieme fanno 45 minuti di ottima musica e di post rock nuovo e godibile. Ma largo alle singole recensioni partendo dall’ultimo disco e al link di questa intervista se ne volete sapere di piu.
“Connla’s Well” è un EP che si muove come un flusso inarrestabile, una corrente sonora che scava a fondo nella tua percezione. I Maruja intrecciano post-punk, jazz e post-rock con intensità, alternando momenti di calma ipnotica a esplosioni di caos sonoro controllato. Ogni elemento sembra vivere di vita propria, eppure tutto è legato da un equilibrio quasi perfetto, in cui il sax emerge come una voce viscerale, spesso dissonante, che guida l’ascolto.
La struttura dei brani si spinge oltre le dinamiche tradizionali: non ci sono appigli semplici, ma una continua tensione che cresce e si dissolve, lasciando spazio a un vuoto denso di significato. Le chitarre, spesso immerse in saturazioni e riverberi, creano strati che avvolgono l’ascoltatore, mentre il basso e la batteria scandiscono un ritmo pulsante e irregolare, mantenendo però una coerenza magnetica.
La produzione bilancia una crudezza palpabile con una precisione chirurgica, rendendo ogni dettaglio udibile senza sacrificare l’impatto emotivo. L’EP è un viaggio emotivo e fisico, un susseguirsi di contrasti che si risolvono in un equilibrio instabile, ma incredibilmente soddisfacente. Con “Connla’s Well”, i Maruja affermano la loro unicità, dimostrando che si può essere sperimentali senza perdere forza comunicativa. Un lavoro che non si limita a colpire: ti scuote e ti trasforma.
“Knocknarea” è il biglietto da visita con cui i Maruja si presentano al mondo, un EP che incarna un’energia cruda ma raffinata, capace di fondere la visceralità del post-punk con la libertà espressiva del jazz e la densità atmosferica del post-rock. Le quattro tracce dell’EP si muovono in territori in cui il lirismo incontra la dissonanza, dando vita a un’esperienza che è al contempo inquietante e ipnotica.
I Maruja costruiscono i brani su un’interazione magistrale tra strumenti: il sax di Joe Carroll emerge come una voce narrativa che si alterna al canto/spoken word di Harry Wilkinson, mentre la sezione ritmica mantiene costantemente alta la tensione, con un basso pulsante e una batteria che sembra esplodere in momenti di caos controllato. Le chitarre aggiungono profondità e colore, passando da passaggi delicati a vere e proprie ondate sonore.
Ciò che rende “Knocknarea” un debutto memorabile è la capacità della band di creare un’atmosfera cinematografica, quasi palpabile. La produzione, sebbene volutamente ruvida, è sufficientemente stratificata da consentire a ogni elemento di brillare. Il mix è bilanciato, con un’attenzione particolare al sax, che spesso guida le transizioni emotive dei brani.
“Knocknarea” è un’opera che cattura il senso di urgenza di una band che ha molto da dire e non ha paura di farlo. I Maruja dimostrano una maturità sorprendente per un debutto, lasciando intravedere un potenziale che sembra non avere limiti. Un lavoro imperdibile per chi ama la musica che sa osare e che non teme di spingere i confini.
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