E torniamo a qualche recupero del passato come questo fulminante disco del 2014. Guilty of Everything rappresenta una delle vette del revival shoegaze degli anni 2010, distinguendosi per un approccio che mescola abilmente elementi tradizionali del genere con influenze post-rock e accenni post-hardcore. Il risultato è un lavoro che riesce a essere sia pesante che etereo, denso di stratificazioni sonore ma sempre guidato da un’emotività autentica.
Le chitarre, cariche di riverbero e distorsione, creano un muro di suono che sembra travolgere tutto, un’estetica vicina al noise rock ma più elegante nella costruzione. La produzione bilancia magistralmente la componente abrasiva delle distorsioni con la delicatezza delle melodie vocali, spesso sepolte ma sempre presenti, come una voce distante che chiama da un sogno o un ricordo. L’intensità delle dinamiche si alterna tra momenti di esplosione catartica e passaggi più meditativi, evocando un senso di sospensione emotiva.
Tecnicamente, l’album si distingue per il modo in cui gestisce le frequenze: i bassi profondi e pulsanti danno peso ai brani, mentre le chitarre si spingono verso le alte frequenze, creando un contrasto che amplifica il senso di spaesamento.
L’atmosfera del disco è intrisa di malinconia, ma non cade mai nella retorica. Ogni traccia sembra costruita per trascinare l’ascoltatore in una spirale, con momenti che esplodono in un caos controllato, per poi ritrarsi in una calma inquieta.
C’è una bellezza opprimente in questo album, una sorta di abbandono alla disperazione che non cerca riscatto, ma solo di esistere in un mondo ovattato e distante. I Nothing prendono il lato più etereo del shoegaze alla Slowdive e lo incrociano con la pesantezza emotiva del post-hardcore, creando un equilibrio perfetto tra dolcezza e sofferenza.
Un debutto che rimane ancora oggi un punto di riferimento per chi cerca nel shoegaze un lato più crudo e diretto, senza però rinunciare alla sua capacità di trasportarti in mondi immaginari.
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